Ed eccoci di nuovo a fare calcoli e congetture su quello che decideranno i francesi alle urne. L'esperienza ormai ci insegna che non possiamo ragionare con il buon senso, perché sembra che sia più la "pancia" ad entrare in gioco piuttosto che il cervello o al limite il cuore. Da parte nostra, memori di quanto accaduto nel passato, continuiamo ad avere approccio agnostico nei confronti delle decisioni politiche e delle reazioni dei mercati finanziari. Nel frattempo Trump ha fatto il suo bel discorso alla nazione ed ha colpito tutti per i suoi toni così "presidenziali", seppur sia stato abbastanza avaro di dettagli confermando sostanzialmente la spesa di un trilione di dollari in infrastrutture e l'abbassamento delle tasse un po’ per tutti, mentre la FED mandava dei chiari segnali sull'innalzamento dei tassi, anche in considerazione della nuova politica fiscale americana. L'assunto del mercato sembra essere che le politiche economiche di Trump saranno simili a quelle attuate da Reagan. Ricordiamo però che lo scenario economico degli anni Ottanta era totalmente differente, soprattutto a livello di debito. Giusto per dare un’idea, la percentuale del debito governativo nel 1982 nei confronti del PIL USA era del 30% contro l'attuale 77%, ma è l'ammontare del debito totale domestico (compreso quindi quello privato) a destare i maggiori timori, specie se paragonato al reddito disponibile che era del 62% ed oggi invece è al 130%, mentre i tassi di interesse sui mutui erano del 16,3% di fronte al 4% odierno. Non ci vuole una laurea in matematica per capire che il popolo americano sia indebitato più di quanto guadagni e che stia pagando interessi molto più bassi rispetto al 1982. I rischi, a ben vedere quindi, sono maggiori. Ma in che modo si può ridurre il debito? Secondo gli economisti Reinhart e Sbrancia – autori nel 2011 del paper "The Liquidation of Government Debt” ci sono cinque soluzioni:
1) crescita reale
2) aggiustamenti fiscali o austerity
3) ristrutturazione o default
4) un improvviso innalzamento dell'inflazione non preventivato
5) un lungo periodo di tassi di interesse tenuti forzatamente più bassi dell'inflazione
In sei anni mi sembra evidente che governi e banche centrali di tutto il mondo abbiano provato un po’ di tutto (escluso i default che hanno capito fanno più danni della grandine) e alla fine siano arrivati alla conclusione che l’austerity non funziona, la crescita non è mai ripartita in maniera decisa e l'inflazione men che meno. Pertanto, l'unico modo per bruciare il debito sembra sia quello di mantenere gli interessi reali negativi. (...)