Il 2018 è stato sicuramente uno degli anni peggiori per l'industria della gestione del risparmio (peggio addirittura del 2008), che ha visto praticamente tutte le asset class riportare perdite, in alcuni casi anche particolarmente significative. Solo coloro che avessero investito in Bund tedeschi o tenuto cash in dollari si sarebbero salvati, ma quanti lo hanno fatto veramente? Io non ne conosco. Se dovessi definire il mercato finanziario nel 2018 la parola scelta sarebbe sicuramente "erratico". Come descriverlo altrimenti di fronte alle dinamiche causa-effetto alle quali abbiamo assistito? Un esempio su tutti, il comportamento del FTSE MIB e dei BTP di fronte al risultato delle elezioni italiane, entrambi in rialzo (nonostante fosse già più che evidente che ci sarebbero stati problemi di governabilità) fino a maggio per poi crollare in maniera violenta, a mio avviso anche più del dovuto. All’interno del novero delle analisi personali che si sono rivelati poi degli errori, metterei sicuramente le previsioni sui tassi d'interesse. Pensavo infatti che sarebbero aumentati sia in Europa che negli Stati Uniti e per tale motivo non ero minimamente investito sugli obbligazionari governativi, tenendo giusto una piccola esposizione su investment grade e high yield europeo (sebbene di short duration), anche in considerazione del tasso negativo sui conti correnti. In effetti il Bund tedesco è arrivato intorno area 0,8% mentre il T bond ha superato ampiamente nel corso dell'anno il 3,2% (seppur in tempi diversi) ma poi sono stati oggetto di flight- to-quality e quindi a fine 2018 si sono rivelati investimenti protettivi non solo rispetto ai mercati azionari globali, ma anche se paragonati ai corporate bond sia investment grade che high yield. Eppure credo che l'errore più grosso si stato quello di puntare sul settore value rispetto al growth specialmente nel mercato americano. Ad inizio 2018 (dopo il primo rally di gennaio) ritenevo infatti che quest'ultimo fosse giunto al traguardo e che fosse arrivato il momento dei fondi long short che vanno lunghi di azioni che presentano caratteristiche di sottovalutazione a multipli bassi vendendo contestualmente azioni che presentano multipli alti basati su aspettative di crescita estremamente ottimistiche. Purtroppo, e in maniera ancora oggi a me totalmente incomprensibile, il settore growth ha continuato a sovraperformare il value quando gli indici salivano e quando invece scendevano non s’è verificato alcuno switch, se non giusto negli ultimi giorni di dicembre dove finalmente sono giunti i primi segnali interessanti di inversione del trend. A questo punto, però, è inutile piangere sul latte versato e siamo qui (peraltro in ottima compagnia) a cercare di capire come affrontare il 2019. La sensazione è che le perdite di dicembre siano state eccessive rispetto alla reale situazione della economia reale. Un po' quello che accade quando ci si fascia la testa prima di essersi fatti male veramente. E' vero infatti che la crescita economica sta rallentando, ma non ho mai visto arrivare una recessione in sei mesi con gli indici ISM in area 60 (dato di dicembre). (...)