Febbraio 2017

07.02.2017
Michele De Michelis
Michele De Michelis
PRESIDENTE CDA E CHIEF INVESTMENT OFFICER

Il primo mese dell'anno è stato ricco di accadimenti, non possiamo certo dire di esserci annoiati. L'insediamento del nuovo presidente americano ha portato interessanti dichiarazioni (per usare un eufemismo) su quello che potrebbe essere il futuro delle relazioni politiche tra i vari Paesi del mondo. Non avendone le competenze, non entro in disquisizione politiche, lasciando volentieri questo compito ai commentatori, mi limito semplicemente a dire che se qualcuno pensava che Trump non facesse sul serio, ora si può tranquillamente ricredere. Il mio auspicio è di non dover assistere realmente ad un’escalation di protezionismo e nazionalismo che potrebbe affossare tutte le aspettative di ripresa economica riposte nelle nuove politiche fiscali annunciate. Le conseguenze sui mercati finanziari non si sono fatte attendere, con momenti di risk off nella seconda parte di gennaio: il 2017 non sembra proprio una “passeggiata di salute” come in tanti credevano a fine anno. Rimanendo coerenti con quanto portato all’attenzione lo scorso mese, notiamo che i prezzi dei titoli obbligazionari governativi stanno continuando a scendere lentamente, seppure senza particolari scrolloni. Segnaliamo ad ogni buon conto che la differenza nell’incremento dei rendimenti tra i BTP (più 50 basis points) e i Bund (più 20 basis point) possa offrire un’idea di quanto si sia allargato lo spread, pur in un contesto di rialzo dei tassi e in uno scenario che registra una sostanziale stabilità per il T bond americano, che è rimasto in zona 2,5%. Io credo che il Bund tedesco non potesse mantenersi ad una distanza di 250 punti base dal suo pari americano, e che quindi vi sia stato una sorta di adeguamento con quanto accaduto oltre oceano nei mesi precedenti. Di conseguenza, se pensiamo che i tassi di interesse americani possano tornare tra il 3,5 e il 4% difficilmente potremmo vedere il Bund rimanere ad un tasso dello 0,4%. Ergo, è proprio questo il rischio che pende sulla testa dei gestori di tutto il mondo: una risalita dei tassi più veloce del previsto che possa provocare una fuoriuscita disordinata dai titoli obbligazionari, vera e propria benzina sul fuoco per generare ulteriori ribassi ai prezzi delle obbligazioni. Giusto per darvi un'idea, il 30% dei possessori di T bond americani ha comprato quando i tassi di interesse erano tra 1,5 e 2%. Questo vuol dire che già in questo momento stanno perdendo soldi. Se i tassi di interesse dovessero risalire gradualmente, probabilmente anche l'uscita sarà controllata, come quando in uno stadio finisce la partita e ci si avvia all'uscita con calma. Ma se si sente un’esplosione, che cosa accade? Lungi da me voler essere cinico, ma la psicologia umana a volte perde di vista la realtà. L'effetto "palla di neve" è sempre una situazione da evitare, anche perché poi andrebbe inevitabilmente ad impattare pure sul settore azionario. Un altro rischio importante è sicuramente rappresentato da Marine Le Pen in Francia, che però allo stato attuale non riesco ancora ad analizzare compiutamente. Quando dice di voler uscire da UE, Euro, Nato e di bloccare l'immigrazione sembra di riascoltare le storie lette da piccolo sui libri di Asterix e Obelix. (...)

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