Il Marzo 2013

04.03.2013
Michele De Michelis
Michele De Michelis
PRESIDENTE CDA E CHIEF INVESTMENT OFFICER

Quando ho scritto il commento di gennaio temevo moltissimo le elezioni italiane, ma avevo in fondo al cuore (da italiano che lavora in Svizzera) la speranza che si giungesse ad una qualunque forma di governabilità. Non avevo fatto però i conti con l’autolesionismo dei miei compaesani ed infatti eccoci di nuovo alle prese con l’allargamento dello spread e il crollo di Piazza Affari.

In realtà alla Frame avevamo quasi completamente azzerato qualunque forma di investimento italiano nelle due settimane precedenti il voto, completamente allibiti dalla piega che stava prendendo la campagna elettorale. E parlando con altri colleghi della piazza, avevamo notato che tutti stavano facendo più o meno la stessa cosa, onde evitare rischi inutili. Pur tuttavia, nel primo pomeriggio dello scorso lunedì post-elettorale, quando ho visto i mercati in forte rialzo sulle ali dell’apparente esito positivo in merito alla governabilità del Paese, ho avuto sensazioni altrettanto benaugurali che mi sono rimaste addosso, nonostante il finale ben diverso generato dal conteggio delle schede. Se, infatti, erano bastate delle mere previsioni per far salire di oltre quattro punti percentuali il mercato, allo stesso tempo una situazione di stallo così evidente in un altro contesto avrebbe causato un crollo ben più marcato di quello visto.  

Il mio modesto punto di vista su quanto è accaduto è molto semplice ...Gli investitori sono talmente scarichi di azioni che non hanno potuto (o voluto) vendere quel poco che hanno in mano; anzi, gli avvenimenti delle ultime settimane sono state considerate una “buying opportunity”. Provate ad immaginare cosa sarebbe successo di fronte al medesimo risultato elettorale se i loro portafogli fossero stati sovrappesati di azioni europee! Credo che avremmo assistito ad un vero e proprio bagno di sangue… Tutto questo si traduce in un evidente desiderio da parte degli investitori di incrementare in questo momento i “risky assets” in portafoglio, e in particolare equity. E’ interessante notare che non è l'aspettativa di un miglioramento della congiuntura internazionale ad alimentare questo “sentiment”, ma piuttosto la “sete” di rendimento che spinge a comprare asset rischiosi, vendendo gli enormi stock accumulati in questi anni di obbligazioni governative (quanto questi titoli non siano realmente rischiosi è poi tutto da vedere) che non rendono nulla, anzi che hanno rendimenti reali negativi.  

Non dimentichiamo infatti che il disegno della FED con le sue politiche non convenzionali è proprio quello di spingere in alto il valore degli asset , creando effetto ricchezza e abbassando allo stesso tempo il rapporto debito/asset reali. In questo modo si possono generare risorse per alimentare l’economia sostituendo la funzione del debito, che è stato il vero motore della crescita nel periodo 2003-2007. A mio parere, anche l’Europa dovrebbe adottare lo stesso principio di stimolo, invece di accanirsi con l’austerity. Ma non è mia intenzione tediarvi su questioni macroeconomiche, riguardo alle quali ogni economista ha opinioni diverse.  

Se però torniamo ai mercati finanziari, che sono quelli che ci interessano, l’ottima tenuta dei livelli dei vari indici, in particolare di quello giapponese e nordamericano, seppur con un aumento della volatilità, offre un'ulteriore conferma di quanto fossero già scarichi i portafogli degli investitori, che hanno semplicemente dovuto “aggiustare” i parametri di rischio, chiedendo circa settanta basis points in più ai BTP italiani (per il rischio instabilità) e circa cinque punti percentuali all’Eurostoxx 50… nulla di clamoroso!!! A fine febbraio gli Stati Uniti rimangono sui massimi e il Giappone aggiunge il cinque per cento alla performance ottenuta alla chiusura di gennaio. Interessante osservare che nell’ultimo mese l’effetto valuta avrebbe addirittura aumentato di oltre il 3 % il rendimento del Nikkei in euro, in quanto nell’ultimo mese l’euro è passato da 124 a 121 contro lo yen. Sarà stato anche in questo caso l’effetto Grillo ?!?!    

In conclusione, se non avverranno fatti esogeni devastanti (ad esempio il fallimento della politica di OMT o la cessione anzitempo dei quantitative easing delle banche centrali), a nostro parere il posto migliore dove  mettere il proprio denaro è proprio sulle azioni internazionali, oltre che sugli inflation-linked bonds, semplicemente perché il rendimento degli high yield è completamente compresso e non si viene remunerati per il rischio di default. Il mercato dei governativi, come dicevo lo scorso mese, è completamente manipolato e allora, se devo rischiare, tanto vale avere in portafoglio (e quindi essere soci di) compagnie che abbiano business ben diversificati a livello mondiale, che siano redditizie, ben gestite, paghino dividendi e soprattutto non siano indebitate. Tenendo conto del contesto di alta volatilità a cui potremmo avvicinarci, siamo comunque consapevoli che dovremo essere ancora più abili navigatori e tenere costantemente monitorate le attuali scelte di investimento.

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