Il Maggio 2013

06.05.2013
Michele De Michelis
Michele De Michelis
PRESIDENTE CDA E CHIEF INVESTMENT OFFICER

Per chi fa dell’asset allocation il proprio cavallo di battaglia, l’ultimo mese è stato molto difficile da interpretare, anche se per i clienti (o meglio nella loro percezione) alla fine è stato un mese eccezionale, in quanto tutti i risky asset sono saliti.

In realtà, abbiamo assistito a una dicotomia tra l’andamento degli asset finanziari sostenuti dalla sempre maggiore liquidità iniettata dalle banche centrali e i chiari segnali di rallentamento provenienti da tutte le economie mondiali, eccezion fatta per l’Europa che si trova già in recessione. Anche se, a onor del vero, l’ultimo dato sull’occupazione americana mantiene la speranza che la più grande economia mondiale possa tornare a crescere decentemente, grazie appunto alla spinta dei nuovi lavoratori. Come spiegare sennò l’atteggiamento degli operatori, che a fronte di una notizia positiva (i payrolls appunto) abbiano snobbato un dato sull’ISM non particolarmente soddisfacente, portando l’indice S&P 500 a  toccare nuovi massimi, sfondando per la prima volta nella sua storia il tetto dei 1600 punti?  

Nonostante questo però, alcuni bravi gestori che seguo e utilizzo da anni, hanno sottoperformato, se non in alcuni casi perso qualcosa su base mensile … I clienti si chiedono come possa accadere questo,  visto che appunto è salito tutto.

La risposta è ovvia, ma non banale: hanno semplicemente allocato il denaro in maniera prudente, facendo molta attenzione ai rischi che in questo momento il mercato non vede o che semplicemente non vuole vedere. E stiamo parlando di gestori che hanno saputo individuare le varie bolle del passato e sono passati indenni alle grandi crisi dell’ultimo quindicennio (professionisti preparatissimi, non giovani traders) e che invece stavolta faticano a capire le motivazioni che portano a far salire i mercati di economie che non crescono, o addirittura assistere ad un'emissione di un bond decennale ruandese (totalmente sottoscritto) ad un tasso del 6,87 %, esattamente lo stesso livello in cui si trovava il BTP Italiano a fine 2011.  

Per tale motivo, in questo momento ho intensificato la diversificazione e il mio atteggiamento diventa sempre di più “agnostico” . Nel fare questo mi è di grande conforto il gestore inglese Jonathan Ruffer che nella sua lettera trimestrale scrive :

“Senza un rifugio, né sicurezza per gli investitori prudenti, sembra che non ci sia altra scelta se non quella di lottare per il capital gain, che è stato ampiamente disponibile. Così ci siamo affrettati tutti in comportamenti incauti in un momento in cui il contesto macroeconomico grida alla prudenza nella gestione degli assets. Abbiamo ripetuto più volte che il risultato più probabile sarà l’inflazione a livello globale, la quale, se accompagnata da continui bassi tassi d’interesse, fornirà l’unica via di fuga per le economie afflitte dal debito. Questo spiega perché deteniamo titoli di Stato legati all’inflazione in misura notevolmente superiore rispetto alla posizione in oro, che era stata l’attività in cui investire in circostanze simili negli anni Settanta. L’oro in sé agisce come una rete di sicurezza poiché le forze in gioco nelle economie di tutto il mondo sono deflazionistiche e queste sono controbilanciate dall’emissione inflazionistica di liquidità (finalmente una spiegazione logica sul perché l'oro ha perso di valore nell'ultimo periodo NDR). Se prevarrà la deflazione, l’oro possiede quella caratteristica che invece le obbligazioni inflation-linked non hanno: una protezione contro un fallimento diffuso dei governi. Le obbligazioni inflation-linked proteggono contro una semi-catastrofe, l’oro contro il suo “fratello maggiore”.  

Di conseguenza, non voglio avere in portafoglio titoli di stato convenzionali, né detenere grandi quantità di cash  ma seguire gli insegnamenti di questo grande gestore. Preferisco avere più equity giapponese (asset rischioso per antonomasia) che cash, o equity americano piuttosto che Treasuries decennali a tasso fisso (ovviamente attraverso fondi specializzati). Il mio potrebbe sembrare  un atteggiamento poco coerente, visto che mi definisco investitore prudente.    

In realtà non vedo alternative al mio approccio, in quanto se il sistema imploderà, lo faranno anche i titoli di stato considerati sicuri, se invece l'economia finalmente si riprenderà e con essa l'inflazione, meglio avere equity sano (aziende redditizie non indebitate) e TIPS inflation linked, che potranno adeguatamente proteggere il valore REALE dei nostri risparmi.  

In aiuto a questa mia convinzione, viene anche quest'ultima statistica… il “Bullish sentiment USA” rilevato da Merrill Lynch. Esso si trova al 31 % , ben al di sotto della sua media storica di 39%. Questo significa che il grande switch dei piccoli investitori non c’è ancora stato e potrebbe sostituire nel futuro gli acquisti delle banche centrali e degli investitori professionali che finora hanno sostenuto I mercati. E sappiamo bene che nella storia i grandi crolli da scoppio bolla, avvengono quando tutti i privati sono gonfi di azioni di ogni genere, chiamati infatti in Germania " i rialzi della casalinga". Ovvero, che nel momento in cui anche le  "regine della casa" si fermano di fronte ai terminali di borsa per verificare l'andamento dei propri titoli, quello è statisticamente il timing giusto per vendere.    

Certo, sarà fondamentale che la ricchezza creata dalla finanza, venga poi riversata nell’economia reale riportando una ridistribuzione del denaro tanto cara ai Keynesiani, altrimenti dopo poco tempo ci ritroveremmo un'altra volta in emergenza.

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