Il Luglio 2014

02.07.2014
Michele De Michelis
Michele De Michelis
PRESIDENTE CDA E CHIEF INVESTMENT OFFICER

Quando si svolge l'attività di asset allocation per conto della clientela, si ha il dovere di documentarsi il possibile ed ovviamente di trarne le proprie conclusioni per cercare di costruire portafogli che siano i più coerenti sia con la situazione attuale che con quello che si ritiene possa accadere in futuro. Naturalmente si cerca di leggere un po' di tutto, quindi giornali, blog, siti specializzati... viviamo nell'era dell'informazione globale a basso costo, dopo tutto, informarsi è doveroso.

Anche se chiunque oggi può dunque esprimere un pensiero e divulgarlo, noto tuttavia che spesso e volentieri vengono espressi giudizi senza però analizzarne fino in fondo le conseguenze, ovvero quali implicazioni potrebbero avere sul mercato globale dei capitali. In questi anni spesso ho letto che l'indice americano S&P 500 sarebbe dovuto crollare del 30, 40 ma anche 50 percento, senza però che venissero chiaramente illustrate le conseguenze che avrebbe comportato la fuoriuscita di una tale massa di denaro (oggi la sua capitalizzazione è di 18 triliardi di dollari, ndr), e soprattutto senza sbilanciarsi sulla loro destinazione finale. Dal 2008 ad oggi, i bilanci delle banche centrali si sono triplicati, con creazione di massa monetaria, e questi capitali si sono riversati sui mercati finanziari, è un dato di fatto. Nel settembre 2013 scrissi che bisognava ragionare in termini relativi piuttosto che assoluti e ancora oggi ne sono convinto. In quel momento dicevo che non poteva esserci tempesta da tutte le parti e che magari in qualche luogo ci sarebbe stato soltanto il cielo coperto e le azioni mi sembravano un posto " relativamente" più interessante delle obbligazioni, se analizzate secondo l’approccio del rapporto rischio-rendimento. In realtà abbiamo poi avuto modo di vedere che la Fed ha continuato a tenere aperto il suo ombrello protettivo, perseverando con l'acquisto dei titoli e iniziando il tapering soltanto nel mese di gennaio. Pur tuttavia, il rally obbligazionario è proseguito con un ulteriore 3% di apprezzamento (e con i rendimenti del T Bond che dal 2,8 % circa sono tornati al 2,5 %) mentre le azioni americane si sono rivalutate di quasi venti punti percentuali.

Questo è il punto più interessante: non solo si sono apprezzate entrambe le due asset class più importanti, ma anche i corporate bonds e gli high yield bonds – comprati a man bassa - hanno registrato una discesa dei rendimenti. Quindi, nonostante sia ora tutto più costoso rispetto a nove mesi fa proprio perché la Fed ha continuato a stampare carta moneta (proseguendo ancor oggi seppur in minor quantità), è pur sempre vero che rimane opportuno operare dei distinguo in quanto ci sono degli investimenti che rimangono indubbiamente più interessanti di altri. Sempre in merito ai vari pensieri che si possono ritrovare sui giornali, ho letto un interessante articolo di Alfonso Tuor sul Corriere del Ticino che definiva i mercati finanziari una "polveriera" e parlava di price earning medio delle azioni americane a 27, condizione che si sarebbe verificata solo prima delle grandi crisi, come quella del ‘29 e del 2007. Non ho onestamente capito dove sia stato originato quel dato, in quanto il P/E dell'indice S&P 500 prezza circa 17 volte gli utili, il Dow Jones 15 e il Nasdaq 34. Forse sarà arrivato a quel numero facendo una media dei tre indici. Quello però che non sono riuscito a comprendere dal suo ragionamento sono state le indicazioni operative su dove investire il denaro.

Se effettivamente i mercati sono una polveriera e siamo alle soglie di un cataclisma, dove dovremmo rifugiarci?

Altrimenti è come dire che prima o poi ci sarà un enorme terremoto in California sulla falda di Sant'Andrea. E’ risaputo ma non per questo la gente smette di viverci!

In realtà, io credo che le banche centrali sappiano perfettamente che i rischi possono diventare sistemici da un momento all'altro, specialmente con questo enorme stock di debito accumulato, e continuino a pilotare un’economia sempre più “di carta” in attesa che quella reale prima o poi acceleri.

Analizzando il comportamento dei mercati nel mese di giugno, vediamo che l’ S&P 500 ha visto nuovi massimi, l'Eurostoxx 50 dopo una fiammata iniziale ha leggermente corretto, tornando più o meno allo stesso livello di inizio mese, mentre il Nikkei è salito di quasi cinque punti, nonostante lo yen non si sia indebolito nei confronti del dollaro. Molto interessanti sono soprattutto gli ultimi dati macro provenienti dal Paese del Sol Levante, che registrano un’economia reale che reagisce positivamente agli stimoli monetari, senza bisogno di incrementare la già avviata politica espansiva della BoJ.

Mercato del lavoro, inflazione e vendite al dettaglio sembrerebbero dare ragione a chi (come noi) ha scommesso sull'efficacia degli Abenomics in attesa dell'impatto dello spostamento degli asset dei fondi pensione sul mercato equity, che non è mai stato così a buon mercato (sempre relativamente parlando). Concludo dicendo che anche noi continuiamo ad essere fortemente preoccupati rispetto alla possibilità che accadano shock esogeni od endogeni, così come il californiano sa benissimo dove si trovi la falda di Sant' Andrea, ma non per questo motivo smette di pagare il mutuo.

In assenza di valide alternative, non modificherò l'asset allocation, anche se comincio a notare alcuni segnali che mi fanno presagire che qualche perturbazione possa sopraggiungere a breve sui mercati, in questo momento eccessivamente calmi. Lo yen per esempio - chiaro indicatore di risk aversion - si è ormai incanalato in un trading range molto stretto contro dollaro (tra 101,5 e 102,5 circa), movimento che ricorda quello dell'oro in maggio. Il metallo prezioso ha visto poi incrementare il proprio prezzo dopo aver vissuto un momento di bassissima volatilità, tant’è che consigliamo di continuare a mantenere un'esposizione al settore delle gold miners, nonostante nel mese di giugno siano salite di oltre il 15%. Sul mercato giapponese, invece, data la recente dicotomia creatasi tra mercato azionario e yen, potrebbe essere il caso di diminuire di un terzo la copertura valutaria (in precedenza il suggerimento era quello di coprire interamente l’esposizione al mercato giapponese ora invece meglio è tenere un terzo esposto allo yen, ndr) per sfruttare le possibilità di hedging offerte dalla valuta nipponica, qualora dovessimo assistere ad un rialzo improvviso della volatilità.

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