Il Giugno 2014

08.06.2014
Michele De Michelis
Michele De Michelis
PRESIDENTE CDA E CHIEF INVESTMENT OFFICER

La reazione dei mercati alle decisioni di inizio mese della Bce, come da copione, ha visto l'azionario europeo strappare verso l'alto, ma soprattutto i prezzi delle obbligazioni registrare un importante movimento al rialzo: non solo i titoli periferici di Spagna e Italia hanno portato i rendimenti del decennale intorno al 2,7 %, ma abbiamo assistito al rally (per quanto meno evidente) anche di Bund e OAT. Livelli impensabili fino a tre anni fa, ma ancor più impressionante è il paragone con i decennali americani ed inglesi, sullo stesso livello italiano e spagnolo.

Non starò a tediarvi sugli economics della decisone della BCE e sui dettagli operativi, poichè in questi giorni ne hanno parlato ovunque, proverò ad analizzarli in un’ottica di asset allocation per la clientela. Mi riallaccio a quanto avevo scritto un mese fa, per mantenere una coerenza sull'impostazione precedente. Avevamo detto che forse quest'anno non sarebbe stato il caso di vendere a maggio, come dice il vecchio adagio, e fortunatamente abbiamo avuto ragione. Ed ora cosa accadrà? Probabilmente il mercato dei risky asset rimarrà ben impostato ancora almeno per il 2014, sperando che ci siano delle ovvie e salutari pause di riflessione per poter incrementare qualche posizione. Ma, se i mercati dovessero ragionare in maniera razionale, considerando che gli Stati Uniti hanno ripristinato l’occupazione come prima della crisi e che l’Europa sta entrando finalmente in una fase di allentamento monetario, dovremmo aspettarci tassi tendenzialmente in crescita al di là dell’Atlantico e tendenzialmente fermi sui minimi in Europa. Vedendo poi la valutazione del mercato azionario americano (sui massimi storici) e quello europeo (dove solo l’indice DAX è tornato ai fasti degli anni d’oro) dovremmo preferire quest'ultimo, considerando anche quanto è accaduto negli Usa con il QE. Per tutte queste motivazioni, possiamo aspettarci un apprezzamento del dollaro nei confronti dell'euro, anche se occorre fare attenzione ai flussi in entrata che l'Europa dovrebbe ricevere dagli investitori internazionali, che potrebbe contrastare un rialzo forte e deciso della valuta americana.

Per quanto riguarda le obbligazioni, l'ultima volta avevo parlato dei TIPS e del modo in cui si muove il loro prezzo, in particolare in riferimento al tasso reale: se positivo il prezzo scende se negativo il prezzo sale. Ecco perchè non potrei essere più d’accordo con le parole dell’esimio Alessandro Fugnoli che scrive "In un ciclo economico positivo tradizionale i bond scendono di prezzo due volte, una perché salgono i tassi nominali, l’altra perché salgono i tassi reali. Questa volta però è possibile che salgano i tassi nominali ma che allo stesso tempo scendano quelli reali, diventando negativi. L’impoverimento, per gli obbligazionisti, sarà meno percepibile ma ci sarà lo stesso e non necessariamente modesto. Potrebbe non risultare molto visibile quando si guarderà all’estratto conto trimestrale, perché i prezzi dei bond scenderanno poco, ma lo sarà quando si proverà a fare la spesa al supermercato pagando in obbligazioni.”

Se prima pensavo avesse poco senso avere in portafoglio bond convenzionali, in particolare Bund, ora dopo la conferma all’azione della Bce e l’ultima coda del rally obbligazionario, inizio a credere che siano addirittura pericolosi perché potrebbero effettivamente perdere il loro valore reale. Infatti, se nel corso dell’ultima crisi sistemica hanno svolto un ruolo di protezione degli asset, nell’eventualità di una seconda crisi (da non escludere qualora le banche centrali non riescano a far ripartire l’inflazione) potrebbero rivelarsi carta straccia, come lo sono state in tempi di guerra le obbligazioni statali degli Stati sconfitti. E’ risaputo che quando uno Stato non può più contare su di una valuta accettata dagli altri Paesi ha un solo modo per non dichiarare default, ovvero disporre di materie prime da vendere.

Infine, due parole sul Giappone, che rimane ancora il mio paese preferito per l'azionario. Quest’anno – almeno finora - ho sofferto per questa mia scelta, ma non mi sono mai pentito di averlo consigliato, anche quando l’indice Nikkei da sedicimila è tornato a quattordicimila punti. Ho avuto modo di parlare a maggio con alcuni gestori giapponesi, che mi hanno confermato quanto il Paese si stia trasformando sotto effetto degli Abenomics e che soprattutto ne stia prendendo coscienza, uscendo da una sorta di apatia pluriennale, tipica delle popolazioni molto ricche che non hanno più voglia di rischiare. Ovviamente i rischi permangono non solo in Giappone ma anche nel resto del mondo e, se è pur vero che qualcosa può sempre andare storto, è nostro dovere cercare di prevedere quanto meno i movimenti razionali di mercato (non certo gli shock esogeni o terremoti di qualsivoglia genere) e questi fino ad ora si sono mostrati coerenti con un’impostazione tuttora rialzista dell’azionario nipponico.

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