Il Gennaio 2014

07.01.2014
Michele De Michelis
Michele De Michelis
PRESIDENTE CDA E CHIEF INVESTMENT OFFICER

Quando penso al 2013 credo che probabilmente molti miei colleghi sarebbero contenti di trovarsi al mio posto in questo momento, essendo stato un ottimo anno sia dal punto di vista delle chiamate (previsioni) che da quello dei risultati (conseguenti alle previsioni). Se vado infatti a vedere cosa avevamo previsto per l’anno appena trascorso, direi che molte osservazioni si sono rivelate corrette, anche se il consuntivo potrebbe essere la fotocopia di quanto scritto per il 2012 (disponibile sul sito di Frame AM www.frameam.ch).

In particolare, sono contento di avere sconsigliato ai miei clienti di investire sul Bund decennale tedesco, dove abbiamo assistito ad un rialzo dei tassi di circa 60 punti base che non si vedeva dal 2006 e che ha portato un rialzo dei rendimenti dall’1,3 all’1,9 % circa. Difendo ancora ad oltranza la scelta di mantenere TIPS (Treasury Inflation - Protected Securities) americani e inglesi in portafoglio che – seppur non abbiano dimostrato sinora grandi vantaggi considerati i rischi deflattivi nel breve periodo – potrebbero comunque rivelarsi una scelta vincente a protezione dell’investimento qualora l’inflazione riemergesse.

Per quanto riguarda il mercato azionario, sono convinto che anche i miei figli avessero compreso che il Giappone era il mercato da privilegiare, pur tuttavia ho dovuto lottare non poco nel corso del 2013, sia con i clienti che con i miei consulenti, per convincerli ad investire soldi veri, visto che quello del Sol Levante era ormai un mercato azionario completamente dimenticato, caso mai foriero di cattivi ricordi. E invece abbiamo assistito ad un rialzo veramente spettacolare (anche in questo caso non si vedeva dal 1972), seppur corredato di altissima volatilità e che ha messo a dura prova le nostre coronarie.

In generale dunque – per quanto si possa dire che il 2013 sia stato un ottimo anno per i risky asset - tuttavia non sono poi così convinto che i portafogli degli investitori comuni siano andati altrettanto bene e abbiano approfittato di questa splendida annata. Ricordo ancora infatti le discussioni di fine 2012 con molti colleghi che erano stracarichi di obbligazioni di mercati emergenti (quelle che più hanno sofferto nella seconda parte dell’anno di fronte alla parola tapering, una delle più cliccate nel 2013).

Per tale motivo, prima di addentrarmi alla ricerca di una possibile lettura per il 2014, mi piacerebbe condividere con i lettori una sorta di protocollo di comportamento per l’anno nuovo. Ora, partendo dal presupposto che anche per il 2014 non ho grandi aspettative sul mercato obbligazionario (e che per quanto riguarda il mercato azionario le possibilità di assistere ad una correzione sono chiaramente aumentate - intendendo per correzione il movimento che ha fatto l’indice Nikkei quest’anno a maggio, mentre un bear market è un movimento che dura mesi), bisognerà cercare la stabilità del portafoglio nella decorrelazione delle sue componenti piuttosto che nella stabilità del singolo prodotto che lo compone. Ipotizzando quindi un portafoglio bilanciato con un approccio al rischio medio (che vuol dire poter sopportare un calo del portafoglio del 10%) invece di fare un classico 60% obbligazionario governativo e 40% equity, andrei a sostituire parte della componente obbligazionaria con fondi credit long short , che possono prendere posizioni "corte" sui tassi e sfruttare eventuali movimenti di rialzo della curva oltre che eventuali differenziali di tassi tra i vari emittenti e relativi movimenti.

Per quanto riguarda i governativi, come dicevo prima, insisterei sui TIPS, in quanto il rischio lo si copre quando la call è praticamente regalata (come in questo momento) e per assicurarmi un po' di rendimento investirei sul debito frontier che paga cedole intorno al 10-11%, ma con l’accortezza di affidarsi sempre a dei bravi specialisti.

Per quanto riguarda l'equity, non credo sia finito qui il movimento della borsa giapponese, ritengo che vedremo ancora volatilità (anche per i rapidi movimenti dello yen), mentre la borsa americana adesso deve necessariamente

ricevere conferme dalla crescita reale dell'economia, che forse (e sottolineo forse) potrebbe stupire in positivo e quindi dare un senso di oggettività allo spettacolare rally dello S&P 500 dello scorso anno, che ha anticipato una crescita superiore al 3 % per il 2014. Qualora invece assistessimo ad una crescita a stelle e strisce sotto la media storica, potremmo tranquillamente ipotizzare un aggiustamento dei parametri borsistici, visto che ultimamente la borsa è salita più per espansione dei multipli che per crescita degli utili.

In Europa invece la musica cambia e l’investimento nelle borse deve necessariamente essere sottoposto ad una condizione preliminare. Essendo il Vecchio Continente ancora troppo legato alle decisioni politiche (e per tale ragione, quindi, sottovalutato), sarebbe da comprare solo se gli europei (compresi i tedeschi) si mettessero a remare tutti nella stessa direzione, stile Usa. E’ invece da considerare sopravvalutato nel caso avvenisse il contrario, ovvero qualora i policymakers ragionassero pensando solo ed esclusivamente alle proprie necessità nazionali.

Rimane infine fondamentale il patto con l'investitore, ovvero la consapevolezza che - qualora si verificassero dei ribassi del 15-20% - questi andrebbero sfruttati per comprare, passando magari da un 40 ad un 60% di esposizione equity, così come eventuali rialzi del 10-15% nella prima parte dell'anno dovrebbero essere usati per vendere un 20% e mettersi cash aspettando la correzione. Allo stesso modo, se i T-Bond americani raggiungessero il 4% e quelli tedeschi il 3% di rendimento, potremmo pensare di metterne un po’ in portafoglio.

Per eventuali operazioni di hedging, consiglio di tenere un buon 15% di esposizione in dollari (da comprare in area 1.37-1.38) da scaricare in area 1.28 e per i più temerari, anche detenere un 5-10% di oro (da comprare in area 1200 dollari), potrebbe essere una buona idea.

Forse non tutti sanno che in questo momento l'oro non viene più estratto, in quanto si spende più per estrarlo di quanto si guadagni a venderlo. Qualora questa situazione dovesse perdurare, l'offerta verrebbe necessariamente limitata, mentre la domanda non si fermerebbe, visto che i cinesi stanno diversificando le loro enormi riserve sul metallo giallo. Quindi, secondo la più antica legge dell'economia (quella della domanda e dell'offerta), il prezzo ad un certo punto dovrebbe cominciare a salire. Quando? Non lo so, così come non so quando riemergerà l'inflazione, però come le leggi della fisica non cambiano, anche quelle dell'economia tendono a rispettare certi principi, come eccesso di moneta/inflazione e mancanza di offerta/rialzo del prezzo in presenza di domanda. Certo, chiunque potrebbe obiettare che per poter generare inflazione quel che manca è la velocità di trasmissione della moneta – a causa dalle eccessive pressioni deflazionistiche mondiali - e che la domanda sull'oro potrebbe esaurirsi in qualunque momento, ma la storia ci insegna che ad un certo punto avviene qualcosa che cambia le carte in tavola. Per questo motivo credo sia opportuno dotarsi di un portafoglio che possa reggere su svariati scenari di mercato e che sia corredato di un buon "libretto delle istruzioni".

In questo modo dovremmo essere in grado di intervenire razionalmente di fronte a repentini cambi del “sentiment” di mercato, augurandoci sempre che non ci attraversi la strada una pluralità di cigni neri.


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