Non possiamo certo dire che gennaio sia stato un mese povero di accadimenti, né che il nostro già fragile sistema nervoso non sia stato messo a dura prova in questi ultimi trenta giorni. Fino a giovedì 15 gennaio se mi avessero chiesto chi fosse Jordan, avrei risposto sicuramente “Michael Jordan" il famoso cestista americano, visto che il suo omonimo Thomas, alla guida della Banca Centrale Svizzera, non era uno dei banchieri centrali dei quali mi dovessi preoccupare più di tanto.
Eppure la sua decisione, a mercati aperti, di abbandonare il peg con l'euro è stato un fulmine a cielo sereno, con l'aggravante però che invece di scaricare a terra, ci ha colpiti direttamente, come tutte le imprese della Confederazione.
Il 22 gennaio, tra un'indiscrezione e l'altra, finalmente Mario Draghi ha annunciato l'ormai tanto agognato
Quantitative easing ed è riuscito pure a sorprendere i mercati, visto che le indiscrezioni della vigilia indicavano un esborso di circa 50 miliardi al mese fino all'importo del triliardo e invece se ne è uscito con un bel 60 miliardi mensili fino a settembre 2016 (e anche di più se ce ne fosse bisogno) coinvolgendo però in maniera diretta i singoli Paesi europei, visto che soltanto il 20 percento del rischio default ricadrebbe sulla BCE, mentre il resto rimarrebbe in capo alle singole banche centrali. Ovviamente, i mercati azionari europei hanno festeggiato con un'ottima performance mensile assoluta (Eurostoxx 50 più 6,52 percento), ancora più vistosa se la si paragona relativamente al mercato americano che invece ha chiuso in negativo di oltre il 3 percento. (...)