Cosa deve essere successo se una mattina ti alzi, accendi la televisione , ti sintonizzi su Bloomberg e vedi che il Nikkei perde il 4% (totalizzando meno 14% da inizio anno)? Questo dopo che l'S&P 500 aveva chiuso con un ribasso di oltre il 2,5 % (peggior chiusura giornaliera dal 2011), estendendo la perdita da inizio anno ad oltre il 5 % e l'Eurostoxx che per una volta si limita ad essere in linea con il ricco peer americano?
Dai sudorini freddi riconosci quella sensazione che potresti trovarti di nuovo all'ennesimo inizio del disastro insieme alla tentazione di scappare subito, prima che la perdita si estenda e distrugga il portafoglio.
Immediatamente cominci a cercare le notizie che ti spieghino le motivazioni di questo ribasso, come quell’indice macro che ha deluso certe attese, quel banchiere centrale che non ha detto che farà quella cosa ... insomma, il ribasso parrebbe logico e quindi, che fare se non scappare?! Ma allora - mi chiedo - possibile che in trenta giorni si sia passati da una situazione fortemente stimolante per i mercati azionari ad una altrettanto pericolosa?!
Nel frattempo, tutti a rifugiarsi nei bond, e di conseguenza, a rivedere il Bund tedesco all'1,6 % e il T-bond Usa al 2,6% di rendimento.
Chi legge le mie considerazioni mensili sa che mi aspettavo questo ribasso e - anzi - credo che potrebbe non essersi ancora concluso. Al tempo stesso, tuttavia, ritengo che questo momento possa essere utilizzato per accumulare senza eccessi e senza aggressività posizioni equity sui portafogli.
Pur dipendendo dal grado di rischio dell'investitore, considerando un'esposizione al mercato azionario al 31 dicembre del 20% (anche se credo che solo in pochi abbiano avuto realmente tale esposizione in portafoglio poiché solitamente la parte dedicata all’equity dai grandi investitori privati è molto inferiore), se il mercato fa meno 5% io compro subito un 5 %, se fa meno 10% io livello il portafoglio con un ulteriore 10% di incremento e così via. Pensate a quelli che hanno utilizzato questa tecnica in passato (prendete pure qualunque periodo, sia di correzioni improvvise che di bear market di più lungo corso) e ai guadagni che hanno realizzato successivamente.
Certo, a volte ci vuole del tempo, nonché nervi saldi, disciplina e programmazione , oltre a essere in grado di selezionare quali azioni o quale indice comprare. E se non ci si vuole affidare a degli specialisti ( cosa che io consiglio sempre) utilizzare gli ETF che hanno come sottostante i principali mercati finanziari può essere sufficiente. Del resto, è risaputo che quando Warren Buffet è negativo sull'economia smette semplicemente di comprare.
Nel mese di gennaio ho avuto l'occasione di recarmi sia a Londra che a Miami e di avere avuto molteplici incontri con diversi investitori. In queste metropoli si ha la precisa sensazione di essere al centro dell’universo del business: città dinamiche e in fermento, supportate da una normativa che incentiva gli investimenti privati e istituzionali oltre ad una rete di servizi che funziona a pieno regime. E’ proprio in certe situazioni che emerge in tutta la sua dirompenza la differenza che intercorre tra l’approccio proattivo di Fed e BoE e quello da always behind the curve della Bce. Avete presente quegli amici che quando nel gruppo ci si rattrista per un qualunque motivo hanno sempre la battuta pronta a tirar su il morale? Ecco, è proprio quello che fanno le nostre “amiche” Fed e BoE, mentre la Bce sembra la mamma che ci ricorda ogni volta di mettere la canottiera di lana (sicuramente a ragione, ma a volte avremmo la necessità anche di altri aiuti...)
A chi fosse tentato di obiettare che Miami e Londra non possono essere considerate pienamente rappresentative dell’economia americana o inglese, ricordo che nel gennaio 2009 anche queste due città si
trovavano nella crisi più nera, mentre ora sono vive e pimpanti. E fate attenzione che sono stati soprattutto i flussi dei capitali reali ad averle risollevate, non il credito che le aveva gonfiate prima dello scoppio della bolla speculativa.
Credo sia importante tenere a mente che la base monetaria si è quasi triplicata dal 2008 ad oggi e questo denaro è sempre alla ricerca di rendimento.
Vorrei concludere con un ulteriore importante esempio di proattività presente in questo momento e da non sottovalutare. Il governo giapponese ha introdotto il NISA ( Nippon Individual Savings Account), un veicolo detassato che ha la finalità di incentivare gli investitori nipponici a trasferire parte dei 16 triliardi di dollari di risparmi (allo stato attuale detenuti in cash o strumenti simili) verso il mercato azionario. Anche una piccola variazione percentuale potrebbe fare la differenza , considerando che il 12% del totale degli "household savings" equivale alla capitalizzazione delle prime cinquanta aziende quotate sul Nikkei. In base all’approccio razionale sopra indicato, se facessero quanto consigliato poc’anzi, gli investitori giapponesi potrebbero sfruttare questo ribasso come un "entry point".
Ricordate cosa è successo all’indice nipponico nel 2013? Da un primo rialzo fino a 15 mila punti è poi sceso fino a 12 mila per chiudere l’anno a 16 mila punti.
Se, invece, ci trovassimo di nuovo di fronte al baratro, allora dovremmo proprio rifugiarci in quel famoso proverbio spagnolo che dice " Se hai un problema e hai la soluzione, di che ti preoccupi? Se hai un problema e non hai la soluzione ... di che ti preoccupi?"