Eccoci giunti in dicembre, il mese dove tutti si preparano ad essere più buoni, ma anche il mese dei bilanci. In attesa dei doni di Babbo Natale, proveremo a valutare le varie opzioni che ci sono sul tavolo, come se fossero tasselli di un puzzle da comporre, per creare degli scenari operativi per la fine dell’anno.
Mentre vi sto scrivendo, l’indice Eurostoxx (martedì 4 dicembre) ha appena fallito il secondo tentativo di rottura dei massimi relativi di marzo, addirittura ieri (3 dicembre) si è proprio appoggiato sul vecchio massimo, per poi tornare giù. Giusto in ottobre , avevo visto la possibilità di un rally di fine anno, che avrebbe potuto diventare interessante qualora ci fosse stata la rottura del vecchio massimo. Avevo scritto questa frase, non tanto perché sia un esperto di analisi tecnica, ma semplicemente perché certi livelli sono monitorati da troppi operatori per non tenerne conto. Mi auguro quindi che si tratti di un semplice stop momentaneo…
Ipotizzando quindi un “quadro tecnico” in miglioramento, direi che anche gli input di natura macroeconomica sono in deciso miglioramento. In Cina non dovremmo assistere ad un hard landing, con la sua crescita che si attesta attorno al 7%; non le cifre spettacolari alle quali ci aveva abituato, ma comunque tali da non creare problemi alla (anemica) crescita mondiale. Il breakdown dell’Euro sembra essere scongiurato, così come il default dei PIIGS, considerato anche il recente accordo sulla Grecia. Quindi la put di Draghi sta funzionando.
La borsa Giapponese è molto tonica, grazie anche alla svalutazione dello yen e, pure in questo caso, il quadro tecnico mostra delle buone opportunità dopo la rottura del massimo relativo toccato quest’anno. Negli Stati Uniti le discussioni sul fiscal cliff continuano, tra stop and go, ma la sensazione è che il problema verrà posticipato e che si trovi una soluzione di breve che stia bene ad entrambi i partiti e … ai mercati. La borsa americana (S&P 500), dopo una correzione di oltre il 7 %, ha ripreso forza unendosi all’ottimismo delle altre o forse, guidandole come è sua consuetudine fare.
Pertanto, dati tutti questi fattori, la voglia di inserire risky assets è molta, nonostante rimanga alta la paura che qualcosa possa succedere da un momento all’altro (psicologia degli investitori ancora scottati dai troppi crash degli ultimi anni).
Dal punto di vista tattico, credo che ci si possa unire a questo ottimismo di fondo, senza però mai perdere di vista le uscite di sicurezza e avere sempre a portata di mano il giubbotto di salvataggio. Cercherei in ogni caso di evitare rischi eccessivi, come per esempio sull’asset class high yield bonds, posizionandomi sul breve termine(12 mesi circa), piuttosto che sul lungo (oltre i 36 mesi). Considerando che la differenza di rendimento allo stato attuale è di soltanto 60-70 basis points, il gioco non vale la candela. Sull’equity, continuerei ad affidarmi a bravi stock pickers, evitando di comprare direttamente gli indici, in quanto ritengo sia un mercato in cui è possibile generare alpha con la selezione, più che con l’asset allocation. Infine, continuo a preferire “inflation linked bonds” ai titoli classici a tasso fisso.